Fernando
Venturini
Qualche mese prima della sua morte, Pietro
Saraceno mi chiese di mandargli via fax le fotocopie della prefazione alla
terza edizione dell' Elogio dei giudici
scritto da un avvocato di Piero Calamandrei. Non so il motivo della sua
richiesta. In questi giorni ho potuto verificare che il volume di
Calamandrei è, com'è ovvio, presente
nel catalogo della sua biblioteca, nell'edizione del 1935 e nella ristampa del
1989.
In questa prefazione, Calamandrei spiega i motivi
per i quali il titolo del volume è rimasto lo stesso, dopo venti anni dalla
seconda edizione del 1935 nonostante le
persecuzioni politiche e razziali, la guerra, i tribunali speciali e "il
faticoso decennio del dopoguerra, durante il quale è avvenuto, purtroppo, che
gli scandali giudiziari siano diventati a poco a poco l'arma preferita delle
lotte di parte [...]. Se la vita dello Stato non precipitò nel caos"
scrive Calamandrei "e il domani
della liberazione poté vedere l'ordine ristabilito con una rapidità che parve
miracolo, a ciò contribuì in maniera decisiva la continuità di una magistratura
rimasta fondamentalmente sana anche attraverso
la macerazione del ventennio". Quindi ancora elogio, non alle leggi
ma alla condizione umana del magistrato italiano "a quest'ordine di asceti
civili ... capaci di rimanere con
dignità e discrezione al proprio posto
anche in tempi di generale rovina". E Calamandrei ricorda alcune figure di magistrati
conosciuti negli anni più cupi del fascismo:
"Uno è Pasquale Saraceno, consigliere alla corte d'appello di
Firenze, ove nel 1944 era arrivato ancor giovanissimo, per concorso, dalla
pretura di Viareggio. L'avevo conosciuto negli anni della guerra, mentre era
ancora pretore, e spesso veniva a trovarmi nella mia casa al mare. Passavamo
lunghe ore a discutere di problemi di
diritto, per cercare un rifugio e un diversivo
contro quell'angoscia che sempre più ci schiacciava. Egli era tutto
preso dai problemi della ricerca della
verità nel processo penale: l'errore giudiziario era la sua ossessione. Aveva
chiesto, con ingenua serietà, al Ministero il permesso di esser rinchiuso sotto falso nome per
qualche mese in un carcere, tra i delinquenti comuni, per misurare coll'esperienza
le loro sofferenze e cercare nella
realtà del carcere la giustificazione (se c'è) della pena. E soprattutto lo
turbava l'idea del povero, preso negli ingranaggi della giustizia, che non ha
mezzi né cultura per difendersi anche se è innocente: e gli pareva che la
giustizia e il patrocinio, come sono ordinati da noi, si riducessero spesso ad
essere un privilegio dei ricchi. Anche egli finì in un modo, che a ripensarlo
ora, mi sembra pieno di significati simbolici. Durante le settimane della
battaglia di Firenze, mentre nelle vie vicine al centro i partigiani insorti si
battevano contro le pattuglie tedesche appostate alle cantonate e contro i franchi tiratori fascisti
annidati nei tetti [...] Pasquale Saraceno,
che si era rifugiato colla famiglia nel grande palazzo della corte in via
Cavour, si affacciò un istante sulla soglia, tenendo per mano accanto a sé il
suo bambino. Bastò che si sporgesse appena, e subito una fucilata da un tetto lo colpì: c'era, puntata in permanenza
contro il portone della giustizia, la mira di un assassino. Ma il bambino restò
incolume: ora sarà un giovinetto.
Quando sarà diventato uomo anche lui, sentirà ancora nella sua mano fatta adulta la stretta e l'incoraggiamento di quella calda mano paterna che credeva nella giustizia"[1]......
Quel bambino era Pietro. Ripeto: non so il motivo
della sua richiesta. Certo, egli doveva essere profondamente legato a queste
parole di Calamandrei. In esse io ritrovo un filo sottile ma ben saldo che lega
una vicenda familiare ad un problema storiografico e che forse aiuta a spiegare
la tensione morale caratteristica di tutta l'attività dello studioso Pietro
Saraceno. Questa tensione è alla base anche della sua instancabile attività di
bibliografo e di studioso delle fonti. Pietro, per tutta la sua vita di
studioso, ha lavorato intorno al problema dei giudici italiani non per farne
l'elogio ma per documentarne un
giudizio storiografico e, soprattutto, per sottrarre questo giudizio alle ideologie e alle lotte di parte. La sua biblioteca e le sue originali
iniziative di ordinamento e rielaborazione delle fonti furono strumenti per
dare corpo a questo scopo.
La Biblioteca di Pietro Saraceno non era certamente
qualcosa di straordinario per dimensioni. Circa 10.000 volumi, comprese le
ultime trenta annate delle principali riviste di storia, non sono così
infrequenti tra gli storici italiani anche se bisognerebbe tener conto dell'anzianità
dello studioso, della sua rete di contatti e relazioni, della vastità delle tematiche affrontate. Quello che è
sorprendente nella biblioteca di Pietro, ancorché privata, è il suo essere
biblioteca in senso oggettivo: una raccolta
organizzata di documenti intorno ad uno o più temi, ad una o più
discipline cioè, al di là della sua destinazione, intorno ad un'utenza reale e potenziale che a quelle tematiche è
interessata. Pietro nella sua biblioteca svolgeva una politica degli acquisti
(attraverso l'utilizzo di gran parte di propri redditi), un'attività di
catalogazione con mezzi informatici, anche attraverso lo spoglio sistematico
delle opere miscellanee e degli atti
di congressi, un'attività di scarto, una politica della conservazione. La sua
biblioteca in questo modo era frutto di un preciso progetto, non era solo
strumentale alle sue ricerche né era solo il sedimento della sua attività[2].
Il progetto era quello di una biblioteca sulla storia della magistratura come
ceto professionale incardinato nella
storia delle istituzioni dell'Italia contemporanea e cioè legato alla classe dirigente che ha fatto il risorgimento e alle classi
politiche che si sono succedute nel corso della storia d'Italia.
In una sua relazione che risale ai primi anni '80 per il progetto del CNR sui
magistrati in Italia dall'Unità al fascismo ho ritrovato un elenco delle fonti
a stampa che interessano la storia della magistratura italiana[3].
Questo elenco descrive bene il progetto che era dietro la biblioteca di Pietro
Saraceno: Storiografia sulla magistratura; Opere di contemporanei sui problemi
della giustizia; Pubblicazioni ufficiali
(leggi e decreti, atti parlamentari, pubblicazioni del Ministero di
grazia e giustizia, statistiche giudiziarie, discorsi inaugurali dei
Procuratori generali e dei procuratori del re); Pubblicazioni dell'Associazione
generale tra i magistrati italiani.
A questo nucleo si aggiungeva la migliore
storiografia dell'Italia dell' 800 e del 900, tutta la produzione italiana di
storia delle istituzioni, un nutrito numero di opere straniere con particolare
attenzione alla storiografia francese, un gran numero di volumi di autori più
risalenti con particolare attenzione alla memorialistica oltreché di uomini politici, soprattutto di
diplomatici, militari ed altre élites
amministrative. Vi era poi l'interesse per la storia coloniale che
alimentava un altro filone della Biblioteca di Pietro ed era forse legato
all'altra sua grande passione, coltivata, insieme alla moglie Luisa, fin
da giovane, quella di viaggi esotici, soprattutto nel continente indiano.
Infine numerose opere di consultazione o a carattere repertoriale soprattutto
biografico tra cui più di trecento annuari di università italiane del periodo
1870-1950, l'Almanacco italiano, l'Almanach de Gotha, il Palmaverde, annate del
Calendario generale del Regno o di analoghe pubblicazioni degli stati
preunitari.[4]
Proprio in quanto insieme organizzato di documenti la Biblioteca di Pietro
Saraceno poneva problemi tecnici, diciamo così, ai quali Pietro
mostrava di interessarsi: lo interessava in particolare il problema
dell'indicizzazione e pure nel suo
pionieristico e intenso uso dell'informatica
paventò sempre un ruolo egemone e fuorviante dell'elettronica
applicata alla storiografia. In realtà
la sua passione per l' home computer
fu questa sì sempre strumentale ai
problemi filologici e storiografici. Rileggiamo un brano che risale al
1988 e che tratta dello studio per un progetto di ricerca volto al censimento, al recupero e alla
valorizzazione dei fondi di
archivio e delle pubblicazioni del Ministero di grazia e giustizia:
" a differenza dello storico che studia l'età
classica od il medioevo, spesso alle prese con poche e già conosciute fonti,
chi si occupa di storia contemporanea è
spesso afflitto da un male opposto: si trova cioè davanti masse enormi di documentazione prive o quasi di qualsiasi strumento di ricerca e
rischia quindi, nell'impossibilità di leggere, od anche solo di scorrere,
tutto, di fare delle scelte
aprioristiche, in qualche misura sempre arbitrarie.
Questo stato di malessere, queste obiettive difficoltà, che non sono
solo proprie dello storico ma di tanti altri ricercatori, si aggravano man mano
che si vanno diffondendo in tutti i settori sempre più numerose le banche dati.
il passaggio dalla conservazione dei
dati su base cartacea a quella su base
magnetica, siano essi dati primari o,
come è almeno oggi più comune, dati
secondari, cioè bibliografici, col rendere velocemente accessibili quantità crescenti di documentazione, pone al centro
di questo processo, che appare destinato a condizionare lo sviluppo della civiltà futura, il problema dell'indicizzazione."[5]
Con questa ottica così finalizzata e concentrata con
la quale Pietro guardava i problemi della documentazione, gli dovevano sembrare
spesso astratti e inconcludenti i
problemi delle biblioteche italiane
dove è ben difficile trovare un riconoscibile progetto di sviluppo
delle collezioni e dove le risorse sono spesso sottoutilizzate o disperse in mille
attività non sempre vicine agli interessi reali degli utenti. Pensiamo
alle Biblioteche romane che erano il
riferimento di Pietro Saraceno: nella città che ospita l'amministrazione
centrale non vi è una biblioteca che rappresenti l'espressione della produzione editoriale dello Stato e
che persegua l'obiettivo di
documentare la storia e l'attività
dell'amministrazione pubblica. E anche quelle che in parte lo sono, per ragioni
storiche, non riescono ad assumere consapevolezza di tale ruolo e a
consolidarlo e svilupparlo. Abbiamo l'archivio Centrale dello Stato ma non
abbiamo una biblioteca dell'amministrazione italiana secondo le caratteristiche
così ben riassunte nel relativamente piccolo nucleo della Biblioteca di Pietro
Saraceno. Difficile dire se anche queste ragioni sono alla base della decisione
di donare i suoi libri ad una Università degli Stati Uniti[6].
Personalmente sento la responsabilità di non aver fatto nulla per cercare di
modificare questo intendimento che mi dicono sia sorto dopo un suo viaggio
negli Stati Uniti con Steve Hughes. Forse qualche istituzione italiana, se
alcuni degli amici, anche autorevoli, di Pietro se ne fossero resi garanti, avrebbe potuto offrire a Pietro la
custodia e la valorizzazione che egli ha ritenuto di trovare in un paese
lontano. Certo, deve essere stato colpito, negli Stati Uniti, dalla grande
tradizione delle biblioteche universitarie dove l'organizzazione, le
tecnologie, le risorse finanziarie e una preparazione professionale
ineguagliata sono integrate e utilizzate nello spirito del servizio
all'utenza. Tuttavia avremmo potuto far riflettere Pietro sul fatto che in
Italia la sua Biblioteca poteva crescere e svilupparsi secondo linee da lui
stesso indicate ed integrarsi con altre collezioni più vaste ma meno coerenti;
negli Stati Uniti questo sarà ben difficile né mi sembra sia previsto nel
lascito e nell'incarico affidato a Steve Hughes[7].
Inoltre, mi sembra che gli studi di storia della magistratura abbiano perso con
Pietro pressoché l'unico vero protagonista, oggi, in Italia, almeno per ciò che
riguarda l'Italia prerepubblicana: da questo punto di vista, la sua biblioteca
avrebbe potuto rappresentare il punto di riferimento per la continuità di tali
studi.
La Biblioteca e i vari archivi informatici che
Pietro manteneva sul suo PC sono anche
espressione di un metodo di lavoro e di
alcune radicate convinzioni che
orientavano tutta la sua attività di studioso
e gli stessi obiettivi delle sue ricerche. Qualche volta ho sentito rimproverare
a Pietro una scarsa produttività, per così dire, un eccessivo amore per il
dettaglio e per la paziente costruzione
della base documentaria sulla quale
costruire un'ipotesi. Certo, Pietro confessava spesso la fatica di scrivere, la
difficoltà di distillare gli argomenti e di sviluppare le tesi senza scorciatoie, facendo avanzare i
giudizi via via su un terreno
documentario di cui le note, spesso così lunghe, ci mostrano la faticosa
preparazione. Ma in realtà era una miniera di intuizioni e di ipotesi
interpretative. Guido Neppi Modona mi
ha dato copia, qualche tempo fa, di alcuni appunti, in forma di sommario,
scritti da Pietro per la preparazione
di un volumetto sulla storia della magistratura italiana che gli era stato
commissionato da Laterza nonché alcune
pagine introduttive per la storia della magistratura in più volumi sempre per
Laterza. E in queste note necessariamente stringate troviamo quasi un
condensato ricchissimo di giudizi che illuminano momenti fondamentali della
storia della magistratura e aprono prospettive interpretative. Sul periodo dal
fascismo alla democrazia:
Una epurazione (necessaria ma) impossibile (La magistratura nella RSI;
la mancanza di pezzi di ricambio)
Il costo della mancata epurazione (Il processo alla Resistenza; il
tentato svuotamento dei precetti costituzionali)
Un nuovo conflitto generazionale (I pretori ed il rinvio alla Corte
costituzionale; lo spezzarsi dell'Associazione; un ricambio più veloce)
Un giudizio complessivo: di quanta indipendenza ha goduto la
magistratura italiana? Alta mag. e bassa mag. Indipendenza interna ed esterna.
I fattori di dipendenza. Le mortificanti condizioni economiche che inducono nella bassa magistratura una mentalità da ceto dipendente. Condizioni economiche dovute al
sommarsi di due fattori: i bassi stipendi
e la lentezza delle carriere
dovuta agli effetti del reclutamento straordinario negli anni dell'unificazione. la
"fede" nelle raccomandazioni. La tendenza prevenire i presunti "desiderata" del
Governo.
Astrattismo della storiografia e astrattismo del legislatore
contemporaneo. Qualche consiglio per la bicamerale: il reclutamento, l'unico
problema vero.
Ma leggiamo, in alcuni paragrafi, uno schizzo rapido
ed efficace della storia della magistraturai italiana:
La storia della magistratura ha i suoi tempi. Essi non coincidono, od
almeno non sempre, con quelli della generale
storia politica e nemmeno con
quelli più specifici della storia della
legislazione in tema di ordine
giudiziario.
Così la storia della magistratura
italiana risulta comprensibile
solo a condizione di risalire a
molto prima dell'unità nazionale: è nelle aule del parlamento subalpino che si giocano i destini futuri della nostra giustizia, ed in questi
dibattiti si esprimono idee, teorie ma anche passioni e risentimenti che
affondano le proprie radici in tempi
ancor più remoti.
Dopo il 1861, dopo i primi anni convulsi in cui si opera l'unificazione, i tempi della storia
giudiziaria si fanno improvvisamente
molto più lenti, e mutano anche gli scenari: non è tanto la legge a imporre il
cambiamento, quanto il decreto, la circolare, soprattutto la prassi. Più che
nei lavori, sempre più inconcludenti, del parlamento, le decisioni ora si
formano nei gabinetti dei ministri, dei primi presidenti, dei procuratori
generali, nelle stanze chiuse della divisione del personale. Anche il discorso
dello storico deve perciò cambiare il
suo taglio, deve adeguarsi a tempi più lunghi, farsi meno évémenentiel e più strutturale.
Solo col nuovo secolo assistiamo
ad una svolta di rilievo: si ha un drastico mutamento generazionale nei
vertici del corpo giudiziario, la bassa
magistratura associandosi acquista
nuova forza, il parlamento si rivela
capace di varare riforme di un certo respiro.
Le successive grandi cesure della storia nazionale, l'affermarsi della
dittatura fascista e la sua caduta, la nascita della repubblica con la sua nuova carta costituzionale
incideranno sulla storia della giustizia italiana assai meno di quanto non sarebbe stato logico attendersi. Il
maggior elemento di frattura introdotto dal fascismo sarà proprio un elemento di continuità in quanto blocca quegli elementi positivi degli ordinamenti
giudiziari che si cominciavano a vedere nei primi anni dopo la guerra, dovuti
al farsi più incisiva, all'intensificarsi della forza dell'Associazione
magistrati, che verrà quindi sciolta
nel 1926.
Quanto alla costituzione
repubblicana, che pure stabiliva su basi nuove e ben più solide il potere
giudiziario, bisognerà attendere due o tre decenni prima che se ne vedano
compiutamente gli effetti. Bisognerà attendere che una nuova generazione di
magistrati abbia almeno in buona parte sostituito la vecchia, formatasi negli
anni del regime. Solo allora si avrà una vera cesura nella nostra storia
giudiziaria, alla fine di un duro scontro che
vedrà i nostri magistrati spaccarsi
in due campi contrapposti, l'Associazione e l'Unione, divisi secondo
linee che non sono solo gerarchiche, ma anche generazionali."
In un altro passaggio Pietro
ci dà un giudizio tranchant della
storiografia italiana sulla magistratura:
"Una storiografia «astratta». Non nego il valore dell'arte
astratta ma la storiografia astratta non mi piace. Decine e decine di pagine
dedicate ad istituti fantasma, che non
hanno mai, o solo eccezionalmente, trovato effettiva applicazione. Al contrario
sono state dimenticate altre norme, apparentemente minori, che hanno invece
avuto una forte influenza nel determinare la configurazione effettiva dello status giuridico dei magistrati italiani. Molta attenzione ai progetti di legge, ma senza fermarsi a
considerare chi erano i ministri proponenti, quale la loro storia personale
professionale e politica, quali le ragioni
politiche contingenti del loro operare. Un utilizzo totalmente
acritico delle testimonianze dei
contemporanei"
Ecco che il metodo di Pietro ci risulta più chiaro:
"un modello di sviluppo della conoscenza storica che compensi la scarsa
velocità del procedere con la solidità
dei risultati acquisiti"[8]
; un'attenzione alla realtà dei meccanismi istituzionali nel loro concreto operare e un fecondo piegarsi dello storico nella ricostruzione delle vicende umane e professionali dei protagonisti e delle generazioni,
scansando continuamente da una parte il
pericolo dell'aneddotico e del bozzetto, dall'altro il pericolo della riduzione dei fenomeni ai modelli statistici e grafici; una
diffidenza programmatica per le teorie giuridiche applicate alla storia, per le
ideologie travestite da interpretazioni storiografiche, per i luoghi comuni
tramandati dalla pubblicistica più risalente e assorbiti criticamente nei libri
di storia, per la storia delle istituzioni come storia della legislazione.
Questo fu il metodo applicato da Pietro e fu applicato ad una sola tematica,
quella della storia della magistratura sia pure nella piena padronanza dei
contesti istituzionali e dei possibili parallelismi internazionali: ma quello
che gli interessava era la storia della magistratura e adesso che vi rifletto
devo dire che Pietro abbracciava questo metodo con un'abnegazione e un'umiltà
che derivavano dal rispetto profondo e radicato per il tema che aveva di
fronte. Di qui il suo sostanziale disinteresse per le necessità della carriera
accademica che gli avrebbero imposto tempi e produttività diverse e la
consapevolezza di essere un po' solo in questo approccio così rigoroso. Sono
convinto del resto che Pietro trovasse soddisfazioni appaganti anche nella sola e solitaria applicazione di
tale metodo; nella costruzione paziente di un punto d'appoggio conoscitivo per poter fare un altro passo o per farlo
fare ad altri, proprio come l'alpinista che costruisce le tracce dei sentieri
di alta quota. Un elemento che ha rafforzato enormemente questo approccio è la disponibilità di un particolare fondo
archivistico, quello dei fascicoli personali
dei magistrati, versato in più riprese
dal MGG all'ACS e che egli giudico': "quasi certamente il più
grosso complesso di carte relative ad un corpo di funzionari pubblici
conservato in Italia"[9].
Si può' dire che questo fondo archivistico fu il fondo di Pietro Saraceno.
Pietro era convinto che quel fondo
avrebbe consentito di costruire la
"biografia collettiva" della magistratura che era nei suoi
intendimenti ed anche il reale funzionamento di un settore importante
dell'amministrazione pubblica e cioè il MGG. Da quel fondo potevano essere
estratti i dati che posti in serie avrebbero consentito di evidenziare il susseguirsi delle diverse
generazioni di magistrati e da quel fondo potevano emergere le carriere delle figure più rappresentative e più emblematiche della
magistratura italiana.
Pietro è stato capace di dare una ricostruzione
efficacissima e per certi versi affascinante della carriera e della vita di un
pretore utilizzando le carte del suo
fascicolo (il pretore Rodolfo Fischer) ma era interessato soprattutto alla
costruzione di una base documentaria. E un aspetto interessante di questa base
documentaria era l'integrazione tra
materiale archivistico e materiale a stampa, in particolare pubblicazioni
ufficiali, che Saraceno conosceva assai bene e non solo quelle prodotte dal Ministero di grazia e giustizia. A
questa integrazione Saraceno credeva molto, riteneva che fosse necessario
lavorare su due piste parallele, quella della documentazione prodotta dalle
pubbliche amministrazioni e quella delle carte d'archivio. Dalla prima era
possibile estrarre un grande numero di
dati e di informazioni perché l'amministrazione liberale non faceva
comunicazione, come si direbbe oggi, ma documentava la propria attività in modo
molto serio. Su questa base Pietro intervenne anche con originali operazioni di
manipolazione che partivano dalla constatazione che molte di queste
pubblicazioni erano dei veri e propri data
base ante litteram e in data base egli li trasformò, come nel
caso della storia dei collegi elettorali di Pietro Nuvoloni sulla base del
quale egli ha potuto creare un archivio
informatizzato non solo degli eletti ma
anche di tutti i candidati alle lezioni politiche dal 1848 al 1898.
I libri di Pietro Saraceno hanno da insegnare molto
a chi si occupa di storia della magistratura, ma certamente il metodo di Pietro
ha da insegnare ancor di più a chi si occupa di archivi, di biblioteche e a chi
si avventura nella costruzione di
strumenti repertoriali. In questi giorni, ho potuto vedere una nota di Pietro
Saraceno datata novembre 1998, due settimane prima della sua morte, nella quale egli dà alcune valutazioni ed
alcuni consigli su un progetto di banca dati
della classe politico parlamentare dell'Italia prerepubblicana che l'Archivio storico della Camera andrà ad
inaugurare tra qualche mese. Si tratta di notazioni severe e puntigliose, tutte tese a raccomandare prudenza e ad affacciare problemi e
questioni. Dietro la suddivisione in campi di un record biografico, dietro le
codifiche utilizzate per organizzare l'informazione, Pietro era in grado di
vedere la complessità della storia con lucidità tale, si direbbe, da restarne
paralizzato. Leggiamo i suoi suggerimenti relativamente ad un ipotetico
"campo" relativo alla professione del parlamentare:
"i casi di professioni multiple, di professioni solo apparenti, di
cambiamenti di professione nel corso di una vita sono estremamente numerosi e
presentano una tipologia estremamente differenziata.
Si pensi in primo luogo agli avvocati: quanti funzionari amministrativi
od anche magistrati si presentano sotto il titolo di avvocato cui hanno legittimamente diritto anche se non
esercitano la professione? Quanti rentiers coprono col titolo di avvocato
la loro mancanza di un vero lavoro. E poi si debbono considerare
analoghi i casi di chi affronta solo
occasionalmente una causa, dedicando la
più parte del suo tempo all'attività politica, al giornalismo, alla
letteratura, ad affari diversi e di
chi invece fa la professione a tempo pieno o quasi e dall'esercizio della
professione ritrae i mezzi con cui vivere?
E la condizione di proprietario terriero: si deve considerare una
condizione professionale od una appartenenza socio-economica? E quanti modelli
di proprietario terriero esistono? Pensi alla differenza fra un grande padrone
assenteista che delega in toto ai suoi
fattori la gestione delle sue terre
rispetto all'operare ben diverso
di personaggi come Bettino Ricasoli
o lo stesso Cavour.
Si possono cercare di risolvere queste difficoltà con una codificazione estremamente
ampia e precisa delle risposte da
immettere nel campo. Ma ciò moltiplica le difficoltà del reperimento dei dati.
Dove trovare notizie sufficientemente attendibili sul grado di impegno di un parlamentare nell'attività forense o
nella conduzione delle sue terre? E quanto lavoro richiederanno simili
ricerche?"[10]
Credo che anche per questo Pietro Saraceno ci
mancherà. Difficile trovare uno studioso che, già gravemente ammalato, scriva
cinque fitte cartelle, un vero e proprio piccolo saggio, per commentare un
progetto che in fondo non lo coinvolgeva direttamente e non riguardava la
magistratura. Pietro era convinto, profondamente convinto, che la conoscenza
fosse il frutto di un lavoro collettivo dove gli steccati accademici, le
distinzioni professionali, le gelosie fossero i più temibili ostacoli. E
concretamente, umilmente, direi silenziosamente, esercitò fino all'ultimo
giorno la rara virtù della generosità scientifica e intellettuale.
Febbraio 2000
[1] Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 3.ed. raddoppiata, Firenze, Le Monnier, 1955, p. xii-xiii
[2] Da questo punto di vista Pietro Saraceno non è stato mai un collezionista o un bibliofilo.
[3] Cfr. I magistrati in Italia dall'unità al fascismo : ricerca prosopografica : caratteristiche socio-professioali del ceto dei magistrati italiani dal 1861 al 1935 :programma particolareggiato (dattiloscritto), [Roma], [1982?], p. 16-17
[4] Una descrizione della biblioteca fu data dallo stesso Pietro Saraceno al momento dell'Istituzione dell'Istituto intitolato alla memoria della moglie Luisa Giorgeri Saraceno. Cfr. Un nuovo centro studi con foresteria a Roma [senza firma], "Le Carte e la storia", 1996, n. 1, p. 141-142.
[5] Pietro Saraceno, Primo studio per un progetto di ricerca: I fondi di archivio e le pubblicazioni del Ministero di grazia e giustizia (1861-1946), censimento, recupero, valorizzazione, (dattiloscritto), Roma, maggio 1988, p. 31
[6]Il fondo di Pietro Saraceno sarà collocato nel John D. Calandra Italian American Institute (25 West 43rd st. Suite 1000 New York, New York, 10036) che fa parte del Queens College della City University of New York. Il responsabile dell'Istituto è il prof. Philip Cannistraro.
[7] Steve Hughes in una e-mail del 25 gennaio 2000 mi segnala che una clausola del contratto con l'Istituto Calandra prevede: "Should Italian scholars need to consult items in the Saraceno collection that are unavailable in Italy, the Calandra Institute would be pleased to provide xerox copies of such items upon request submitted throught an established research library in Italy". Hughes inoltre mi assicura che il catalogo del fondo Saraceno dovrebbe essere interrogabile tramite Internet e accenna alla possibilità di digitalizzare i testi. Quest'ultima operazione, evidentemente onerosa se condotta su larga scala, dipende dalle risorse che il Calandra Institute intenderà investire.
[8]I magistrati in Italia dall'unità al fascismo : ricerca prosopografica : caratteristiche socio-professioali del ceto dei magistrati italiani dal 1861 al 1935 : programma particolareggiato ... cit., p. 5
[9] Ivi, p. 7
[10]Pietro Saraceno, Osservazioni al progetto "Per una banca dati sulla classe politico-parlamentare dell'Italia liberale dal 1848 al 1924", p. 2. Il documento, che mi è stato gentilmente segnalato da Barbara Cartocci, Sovrintendente all'Archivio storico della Camera dei deputati, è un fax di 5 pagine inviato dall'abitazione di Pietro Saraceno in data 23 novembre 1998.